Trama - Il nome della rosa - Umberto Eco

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    « Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en francais d'après l'édition de Dom J. Mabillon (Aux Presses de l'Abbaye de la Source, Paris, 1842) »

    (Umberto Eco, Incipit de Il nome della Rosa, 1980)

    Guglielmo e Adso si recano ad un monastero benedettino di regola cluniacense posto tra i monti dell'Italia settentrionale e, dal momento che nelle giornate senza foschia è visibile il mare, presumibilmente anche vicino alla costa. Questo monastero sarà sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i Francescani, sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'Imperatore, e i loro nemici della curia papale insediata a quei tempi ad Avignone. I due monaci (Guglielmo è francescano e inquisitore "pentito", il suo discepolo Adso è un novizio benedettino) si stanno recando in questo luogo lontano perché Guglielmo è chiamato, come rappresentante dell'imperatore, a far parte del congresso, dalla parte che sostiene le tesi pauperistiche. L'abate, preoccupato che alcuni fatti misteriosi e, soprattutto, l'improvvisa e inspiegabile morte di un confratello possano far saltare i lavori del congresso e far ricadere la colpa su di lui confida nelle capacità inquisitorie di Guglielmo e gli affida il compito di far luce sulla vicenda.

    Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all'ex-inquisitore, altre morti si susseguono e sembrano tutte ruotare attorno alla biblioteca, vanto e onore del monastero, e ad un misterioso manoscritto. La situazione è complicata dall'imminente convegno e dalla scoperta, fatta dall'inquisitore Bernardo Gui, di due eretici della setta dei Dolciniani profughi presso l'Ordine dei Benedettini (il cellario e il suo aiutante semianalfabeta): così, in un'atmosfera inquietante, tra discorsi sulle donne, oggetto della perdizione del mondo, e sull'eresia, così antichi e al tempo stesso così moderni e attuali, Guglielmo e Adso si avvicinano sempre più alla verità, fino a scoprire il misterioso manoscritto (il secondo perduto libro della Poetica di Aristotele, che tratta della commedia, e dunque del riso e dello scherzo) per cui così tanti monaci sono morti e il misterioso assassino che così bene ha colpito nel monastero.

    Alla fine, scoperta ogni cosa, i due protagonisti si allontanano, mentre la biblioteca brucia nell'incendio verificatosi nella confusione: Jorge si mangia un pezzo delle pagine avvelenate di arsenico del manoscritto e poi incendia la biblioteca buttando a terra il lumino a petrolio. Il punto centrale del libro sta nel fatto che se è possibile ridere di tutto come affermato nella Poetica di Aristotele è possibile farlo anche di Dio, e cioè una contrapposizione tra dogmatismo assoluto (della chiesa) e la ragione dell'uomo che avrebbe portato al relativismo e quindi alla caduta della religione, è quindi un tema classico dalla rivoluzione francese in poi.

    Jorge è quindi lucidissimo nel suo proposito di salvare l'umanità dalla pericolosa riscoperta del libro di Aristotele, egli ne intuisce i pericoli ed è lui assieme al suo vice a provocare la catena di omicidi per impedire il divulgarsi del libro proibito, che in sostanza è il primo accenno di relativismo in un mondo assolutistico-cattolico.

    In tema di citazioni e ammiccamenti più o meno nascosti (di cui il romanzo è disseminato dall'inizio alla fine) è abbastanza palese che tanto il nome di questo personaggio (Jorge da Burgos), quanto il trinomio cecità/biblioteca/labirinto a lui collegato, costituiscano un'allusione nemmeno troppo velata allo scrittore argentino Jorge Luis Borges.

    Una curiosità legata al titolo del romanzo, è (parzialmente) svelata alla fine del libro, dove l'ormai vecchio narratore Adso da Melk conclude il suo racconto con un'espressione latina :"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" (la rosa primigenia esiste in quanto nome, possediamo i semplici nomi). Si tratta di un messaggio che porta a riflettere affinché non si presuma di essere depositari di verità assolute, in quanto queste saranno sempre contestabili, se non addirittura risibili.
    « Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. »

    (Umberto Eco, Il nome della rosa, Ultimo Folio, 1980)





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