I motti d' annunziani

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  1. ~ Oscar ~
     
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    “Io ho quel che ho donato”:
    Sicuramente il più famoso dei motti dannunziani, è inciso sull’ingresso del Vittoriale. D’Annunzio racconta di avere trovato questa frase in un incisione del Quattrocento, ma è la traduzione di “Hoc habeo quodcumque dedi”, del poeta latino Rabirio, coevo di Augusto e citato da Seneca nel “De beneficiis”. La stessa frase è inoltre riportata in un trattato seicentesco dell’abate Giovanni Ferro come motto di un cavaliere spagnolo del Cinquecento.

    “Per non dormire”:
    Motto ripreso da quello della famiglia fiorentina dei marchesi Bartolini-Salimbeni, unica modifica apportata fu la sostituzione, nell’ornamento, dei papaveri con l’alloro. Fu il motto che lo stimolò nella fase di maggiore creatività, era presente ovunque: dai fogli di carta alle maioliche, dai fregi agli architravi. Fu tentato più volte di sostituire “morire” a “dormire”.
    “Ognora desto”:
    Altro motto auto-stimolante, lo usò nei suoi “ex libris”; era sempre accompagnato da un gallo che canta.

    “Non nisi grandia canto” (Non canto se non cose grandi):
    Motto inciso sul sedile centrale dell’Arengo, al centro dei giardini del Vittoriale.
    “Chi ‘l tenerà legato”
    Antico grido di libertà del Rinascimento. Fu inciso sulla porta d’ingresso della “Capponcina”, a Settignano. Viene inoltre ricordato nella lettera che scrisse ad Antonio Salandra il 30 luglio 1915, con cui chiede che venga tolto il veto del Comando militare alle sue imprese aeree. Presente anche al Vittoriale: lo fece scolpire, nella Stanza della Musica, al centro del camino.

    “Ex celeritate lucem” (Dalla velocità la luce):
    Fu da lui stesso creato nel 1921, era il ringraziamento ad una ditta genovese di lubrificanti che lo aveva omaggiato di una fornitura. Era divenuto uso molto diffuso quello di omaggiarlo: ottima pubblicità. L’olio doveva servire per le automobili del poeta: una Fiat 4 con lo stemma della Madonna del Loreto dipinto sugli sportelli, con la quale d’Annunzio guidò la Marcia di Ronchi, e una Torpedo Isotta Fraschini, ultima auto che possedette.
    “Né più fermo né più fedele”
    Il motto fu inciso nello “Stemme del Levriero”, posto sulla facciata del Vittoriale; diretto a Mussolini, con cui era in aperta polemica.

    “Forse che sì forse che no”
    D’Annunzio lo scelse come titolo di un suo romanzo del 1910, ma era in origine un proverbio toscano del XIV secolo. Il poeta lo lesse per la prima volta sul soffitto di una sala del Palazzo Ducale di Mantova.
    “Immotus nec iners” ( Fermo ma non inerte):
    Frase di Orazio che lui scelse come motto da inserire nel suo stemma nobiliare di “Principe di Monte Nevoso”; lo stemma fu dipinto da Guido Marussig e raffigura una cima di monte coperta di neve e sovrastata dalla costellazione dell’Orsa Maggiore. Il titolo di principe gli fu concesso dallo stesso Mussolini il 15 marzo 1924, dopo la definitiva annessione di Fiume all’Italia. Sembra evidente come la scelta di questo motto avesse un intento dichiaratamente polemico con lo stesso Duce.

    “Ottima è l’acqua”:
    Frase ripresa da Pindaro, la si ritrova praticamente in tutte le “sale da bagno” in cui il poeta poté lasciare il suo segno.
    “Piegandomi lego”:
    Altro motto in aperta polemica con Mussolini; d’Annunzio non ha mai accettato il fatto di dover stare lontano dalla vita politica attiva.

    “Intra me maneo” (Resto dentro di me):
    Frase legata al mito della tartaruga e fatta incidere nel 1935 su una placchetta che regalò a Mussolini. Il Vate era avvezzo a regalare ad amici piccole tartarughe d’argento che usava come talismani.
    “Numquam deorsum” (Mai in basso):
    Legato al mito del fuoco che rivolge le sue fiamme sempre verso l’alto, il poeta-superuomo scelse la frase per farla incidere su un parafuoco di uno dei camini di villa “La Capponcina”.

    “Cinque le dita e cinque le peccata”:
    Altra incisione presente al Vittoriale, sul cornicione della “Stanza delle reliquie”, da ricordare che per lui lussuria e avarizia non sono tra i vizi capitali.
    “Collectum durabit robur” (Le forze raccolte dureranno):
    Motto della “Compagnia del Retaggio”, prima mostra di arte popolare italiana inaugurata il 25 settembre 1821.

    “Non timeo culices” (Non temo zanzare):
    Motto storico di Sigismondo Malatesta che il vate fece incidere sugli anelli che donava agli amici.
    “Suis viribus pollens” (Possente di sua propria forza):
    La frase è sempre legata all’immagine di un elefante rampante; usata sia come sigillo che come incisione nei regali che faceva agli amici.

    “Non dolet – Arria dixit” (Non fa male, disse Arria):
    Il 7 dicembre 1935 d’Annunzio inviò a Mussolini oro, ferro e bronzo, accompagnando l’offerta con la frase latina che ricorda la storia di Arria, giovane eroina dell’antica Roma: prima di uccidere Cecina, suo marito e traditore, gli mostrò la lama di un coltello dicendo “Non dolet”.
    “Cave canem ac dominum” (Attenti al cane e al padrone):
    Monito ai visitatori ed ai passanti presente sul cancello della sua villa, di certo non comune avvertire di fare attenzione anche al padrone.

    “Rosam cape spinam cave” (Cogli la rosa, evita le spine):
    Il motto è inciso su un architrave, retto da due antiche colonne e sormontato dalla statua di una Venere acefala, posto nel “Giardino della Prioria” al Vittoriale. È uno dei giardini non accessibili al pubblico; era ricco di rose che d’Annunzio non faceva mai raccogliere, affinché sfogliandosi formassero uno spesso tappeto di petali.
    “Ingressus at non regressus” (Entrato ma non retrocesso):
    Frase incisa all’ingresso dell’Arengo, luogo sacro al poeta e situato nel boschetto delle magnolie al Vittoriale: è un recinto con sedili di pietra e colonne commemorative in cui vi celebrava gli anniversari delle imprese di guerra e di Fiume. Sulla colonna dei giuramenti, al centro dell’Arengo, è impresso il motto “Undique fidus, undique firmus” (Ovunque fedele, ovunque fermo).

    “Aut Caesar aut nihil” (O Cesare o niente):
    Unitamente alla testa di S. Francesco era usata come sigillo per chiudere le lettere che scriveva dal Vittoriale.
    “Et quid volo nisi ut ardeat?” (Cosa voglio se non affinché arda?):
    D’Annunzio lo fece incidere nella biblioteca di villa “La Capponcina”, più tardi divenne motto che doveva eccitare negli animi la passione per la patria.

    “Vivere ardendo e non bruciarsi mai”:
    Parafrasi di un verso di Gaspara Stampa: “Vivere ardendo e non sentire il male”. Il motto fu adottato da d’Annunzio anche in guerra e durante l’impresa di Fiume.
    “Dant vulnera formam” (Le ferite foggiano la forma):
    Fu dedicato ad Adolfo De Carolis ed alla sua maestri nell’arte di incisore; il De Carolis illustrò la prima edizione del “Notturno”.
     
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